Oggi, 37 anni fa, moriva Giancarlo Siani, giornalista napoletano ucciso dalla camorra.
Giancarlo aveva 26 anni, era un ragazzo come tanti, credeva nel suo lavoro e nell’importanza di raccontare i fatti così com’erano, a qualunque costo. Era un curioso, e la curiosità ti permette di conoscere, di sapere, di scegliere. Cercava di raccontare la verità, perché la verità ti permette di essere libero.
La sua storia nel tempo si è mescolata a tante altre, nel racconto di chi ha pagato con la vita la scelta di ribellarsi all’orrore della criminalità organizzata. La verità, però, è che la storia di Siani, come quella di Peppino Impastato, ci consegna una visione del mondo diversa, più intima, più “nostra”.
Nel suo cammino, purtroppo molto breve, Giancarlo aveva scelto di non fermarsi, di non mollare; tra mille difficoltà, mille ostacoli, spesso nella totale solitudine. Hanno dovuto ucciderlo per fermarlo. Ecco, quando penso a Giancarlo penso ai tanti ragazzi che attraverso il proprio coraggio offrono un’azione a contrasto di un sistema fatto di violenza e di sopraffazione, di menzogne e di ricatti.
“Un ragazzo del Sud”, come ce ne sono tanti, anche oggi, che non avrebbe mai mollato. Da allora molti uomini coraggiosi ci hanno lasciato, molti sono ancora con noi, ed ognuno ci ha trasmesso insegnamenti importanti. Ma nel ricordare la figura di Giancarlo Siani, non posso fare a meno di pensare a quanto la lotta alla criminalità organizzata abbia bisogno di tutti noi, soprattutto di quei “ragazzi come tanti” che popolano le nostre città, e che spesso portano il peso del riscatto sociale e culturale del nostro Paese. Perciò, se vogliamo davvero camminare nell’esempio di ragazzi come Giancarlo e Peppino, dobbiamo promuovere ed accrescere la cultura della legalità, che non si estingua alla fine di un convegno o di una parata, ma che nasca e cresca nelle scuole.
Gli articoli di Giancarlo Siani sono il romanzo quotidiano di una umanità dolente, alla ricerca di uno spazio di sopravvivenza e speranza. Un pensionato che muore per strada perché travolto da una moto; un medico che viene aggredito e picchiato in corsia dal marito di una donna in cinta; un preside che chiude la scuola perché mancano le condizioni igieniche minime; un ladro che finge di fare un trasloco e chiede una mano ai carabinieri che lo hanno sorpreso sul fatto; gli operai di una fabbrica che scioperano contro la perdita del posto di lavoro; una madre disperata che chiede di incarcerare il figlio per sottrarlo al destino di tossicodipendente; un anziano solo che muore in casa senza che nessuno se ne accorga; una bambina di sei mesi che termina la sua esistenza per le percosse ricevute da genitori troppo impazienti; un marito geloso che spara al rivale focoso. Sono questi i protagonisti del racconto di Siani: ad ognuna di queste storie il giovane cronista dedica una precisa ricostruzione dei fatti, lascia che siano altri a commentare anche le vicende più sordide e si astiene da qualsiasi giudizio di tipo etico e moralistico, vuole che siano le storie a far parlare di sé. Lo fa con uno stile asciutto, senza enfasi fuori luogo.
Un tono minimalista che però esalta il valore di ogni parola, fa emergere il periodare ricco di particolari e denso di significato.
Mai un giudizio di troppo, mai una parola più del dovuto.
Giancarlo Siani mantiene questa cifra stilistica anche tutte le volte che affronta i grandi temi della società partenopea: il lavoro, con i numerosi resoconti delle lotte sindacali; la scuola, tra le attese degli studenti e le strutture fatiscenti loro dedicate; la droga, con il dramma della tossicodipendenza, documentato con costanza, fino all’ultimo articolo quello sui “muschilli”, mandati a vendere l’eroina da adulti troppo avidi.