Lorenzo Diana è stato assolto.
Scagionato da tutto dopo 1991 giorni di vita sospesa. Sono
passati 1991 giorni da quella mattina del 3 luglio 2015 quando d’improvviso Diana si è
ritrovato da simbolo dell’Anticamorra ad untore mafioso. Da moralizzatore a corrotto.
Come un delinquente dovette lasciare il domicilio. Andare in esilio. Sbattuto come un
mostro sui giornali, Il pm, Giordano, ha archiviato il caso, facendo cadere tutti i capi
d’accusa. L’uomo simbolo della lotta contro la camorra dei casalesi, infamato per vendetta, accusato poi d’essere un doppio giochista e messo sotto una gogna giudiziaria durata vari anni, per i giudici infatti, non era un politico al servizio della camorra casalese.
Diana era veramente un paladino dell’antimafia,. È caduta anche l’accusa di corruzione. Per rialzarsi e ripulirsi dal fango, Lorenzo Diana ha dovuto aspettare quattro anni. Più precisamente tre anni, dieci mesi e quattro giorni, per ricevere dalla Dda di Napoli la richiesta di archiviazione per l’accusa di concorso esterno in associazione camorristica.
L’ex Senatore del Pds e segretario della commissione Antimafia è stato un simbolo della
lotta alla criminalità organizzata, uno dei primi oppositori del Clan dei Casalesi, quando
nel casertano la camorra non la combatteva convintamente neppure lo stato. Per la sua
attività, a partire da metà anni 90, dopo l’operazione “Spartacus” che ha portato a un
centinaio di condanne tra i Casalesi, ha vissuto sotto scorta per le minacce della camorra,
in particolare del boss Francesco Schiavone detto “Sandokan”.
Ed è pertanto diventato un’icona dell’antimafia militante: l’unico politico citato da Roberto Saviano in “Gomorra” come esempio della lotta ai clan. “Lorenzo Diana è uno di quei politici che ha deciso di mostrare la complessità del potere casalese e non di denunciare genericamente dei criminali, scriveva Saviano.
Può, più di ogni altro, raccontare quel potere, e i clan temono la sua conoscenza e la sua memoria”. E ancora: “E’ uno di quei rari uomini che sa che combattere il potere della camorra comporta una pazienza certosina”.
Ebbene, tutto questo svanisce in una giornata di luglio del 2015, quando Diana viene
indagato da un altro campione dell’antimafia, il pm Catello Maresca – il magistrato che ha
arrestato i boss Giuseppe Setola, Antonio Iovine e Michele Zagaria – per concorso esterno
in associazione mafiosa: Diana sarebbe stato il “facilitatore” di un presunto patto tra la
coop Cpl Concordia e i clan nel progetto di metanizzazione dell’agro aversano (Cpl
Concordia è già stata assolta), oltre che autore di presunti favori, raccomandazioni e
frequentazioni con personaggi in odore di camorra.
Le accuse contro Diana si basano sostanzialmente sulle dichiarazioni del pentito Antonio
Iovine, conosciuto come “’o Ninno”, uno che non ricorda neppure quante persone ha
ammazzato in carriera e che è stato a lungo un nemico di Diana.
La parola di un camorrista contro quella di un uomo delle istituzioni: “Le accuse fanno a pugni con la realtà storica accertata dallo stato, disse Diana. Ero senatore dell’Antimafia, sotto scorta per 20 anni, seguito in tutti i miei movimenti dalle forze dell’ordine”.
Ma prevale la parola del camorrista. Il simulacro dell’antimafia cade nella polvere e attorno ha solo terra bruciata: Luigi de Magistris gli toglie un incarico al comune di Napoli (“così può difendersi meglio”) e Saviano, a differenza di altre vicende, preferisce un donabbondiesco silenzio.
Così Diana, che pure da politico contro gli avversari ha cavalcato il giustizialismo, si trova improvvisamente e per quattro anni sospeso da uomo e cittadino, senza riuscire
a difendersi dalla gogna mediatico-giudiziaria. Presunto camorrista.
Ora arriva la richiesta di archiviazione da parte degli stessi pm, nessuna collusione. Non ci sarà neppure un processo e Diana verrà “riabilitato”, anche se ha già scontato la sua pena. La sua storia e il suo isolamento sono significativi. Fino a che si andrà avanti con il garantismo ideologico, o con il giustizialismo partigiano, chi è accusato ingiustamente di un reato più infamante è vittima due volte. Siamo e saremo sempre strenui difensori della magistratura.
Però crediamo che la giustizia debba cambiare strada, altrimenti di questo passo va a
sbattere. Diana non è stato rinviato a giudizio. Ha ricevuto due avvisi di garanzia che si
sono chiusi con un’archiviazione richiesta dagli stessi pm che lo hanno indagato. Ma ci sono voluti cinque anni e mezzo. Credo che ci sia da riflettere su questo. Anche perché il
suo non è l’unico caso. Il legislatore deve riformare profondamente la giustizia.
E l’organo di autogoverno di giudici e pubblici ministeri, il Csm, deve fare le sue valutazioni e chiedersi perché questo accade.