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lirio

Nuove minacce per il nostro giornalista

L’inviato de “l’Espresso”, sotto scorta dal 2007, è al centro di un piano criminale delle organizzazioni mafiose per la sua ìnchiesta di copertina sui nuovi re di Roma, eredi della Banda della Magliana

di Giovanni Tizian

La squadra mobile di Roma indaga su un progetto criminale che ha come obiettivo il giornalista dell’Espresso Lirio Abbate. L’inchiesta coordinata dalla procura antimafia di Roma è stata aperta lo scorso luglio dopo una segnalazione arrivata alla polizia in cui si faceva riferimento a un albanese che aveva avuto il compito di seguire e controllare gli spostamenti del giornalista. Una segnalazione precisa e dettagliata che è stata subito presa in seria considerazione dagli inquirenti che collegano la minaccia all’inchiesta giornalistica sul potere criminale a Roma che riguardava Michele Senese e Massimo Carminati. Una storia da copertina dal titolo “I quattro re di Roma”.

La “colpa” di Lirio sembra dunque essere quella di aver raccontato i nuovi re di Roma. Di come Michele Senese, Massimo Carminati, Giuseppe Fasciani e Giuseppe Casamonica, si sono spartiti la città. Nell’inchiesta è stata disegnata la nuova mappa del potere criminale grazie a fonti – che non sono giudiziarie – che vivono il territorio romano. Ha dato un volto ai padrini “cacio e pepe”, agli eredi della banda della Magliana, legati a camorra, Cosa Nostra e ‘ndrangheta. Il suo lavoro è andato oltre la ricostruzione e lo studio di atti giudiziari.

Quando è stato pubblicato il numero con l’inchiesta di Lirio, in copertina i boss erano tutti a piede libero. Il “Riccardino” citato nella missiva inviata alla polizia è Arben Zogu, di 40 anni. É finito in carcere il 29 ottobre scorso insieme ad altre 12 persone grazie all’operazione coordinata dai pm Antonello Ardituro e Alessandro Milita della procura antimafia di Napoli. Un’inchiesta sul clan dei Casalesi che si servivano di braccia albanesi per imporre le macchinette mangiasoldi, le videslot, a Ostia e Acilia.

Riccardino, legato al boss Michele Senese (di cui Abbate si è occupato) è uno degli albanesi che il clan di Gomorra utilizzava per le azioni di forza. Se qualche commerciante non voleva le slot, ci pensavano Riccardino e Orial Zogu, campione italiano dei medio massimi nel 2012. Secondo la segnalazione proprio Riccardino si interessava al nostro giornalista. Avrebbe ordinato ai suoi uomini di pedinarlo. Ora è in carcere, ma gli investigatori continuano a tenere gli occhi aperti. Perché dietro il dipendente dei Casalesi e di Senese potrebbero esserci altri che potrebbero portare a termine il piano.

Ancora una volta l’inviato de “l’Espresso” è al centro dei piani criminali delle organizzazioni mafiose. Dal 2007 vive sotto scorta, dopo la pubblicazione con Peter Gomez del libro “I complici”. Ma anche quando lavorava all’Ansa di Palermo aveva ricevuto pesanti minacce da Leoluca Bagarela, il capo dell’ala stragista di Cosa Nostra. È stata la polizia a sventare un attentato davanti alla sua abitazione di Palermo.

L’Italia è il primo Paese dell’Unione europea con più giornalisti minacciati e intimiditi dalle mafie. Non è un fenomeno solo del nostro Mezzogiorno. Colleghi subiscono pressioni e intimidazioni quotidianamente in ogni regione d’Italia. Segno inconfutabile dell’inarrestabile ascesa dei clan. Dal 2006 a oggi, secondo i dati dell’Osservatorio ossigeno per l’informazione, sono 1554 i giornalisti minacciati in Italia. Dati terribili, amari. Non certamente degni di un Paese occidentale. Il livello è quello della Russia di Putin.

Roma è al centro degli interessi delle cosche di casa nostra. Investono, riciclano, inondano di cocaina le piazze della capitale, uccidono, quando è necessario. Ma tutto quello che avviene dentro il grande raccordo anulare è controllato da un piccolo gruppo di criminali. E non si fanno molti scrupoli a tappare la bocca ai “giornalisti giornalisti”, quelli che non si accontentano di sfiorare con le mani la superficie fredda delle cose, ma entrano nella carne viva delle questioni, dei fenomeni, dei poteri oscuri.

L’informazione come servizio per i cittadini. Che attraverso le storie e i fatti raccontati acquisiscono gli strumenti per comprendere la realtà in cui vivono. Ecco Lirio, come tutti noi, ha fatto semplicemente il suo dovere: ha detto ai romani e agli italiani di aprire gli occhi perché il crimine si sta mangiando la città simbolo dell’Italia nel mondo. Ma in questo paese fare semplicemente e con passione il proprio lavoro, solo il proprio lavoro e farlo bene, può diventare molto pericoloso. Su questo è necessario che chi governa rifletta e agisca in fretta.

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