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Fonte La Repubblica di Roberto Leone

Quarant’anni fa, esattamente il 23 aprile 1981, veniva ucciso Stefano Bontade, il boss della mafia palermitana che più di ogni altro incarnava l’equilibrio tra crimine politica e affari. Per molti questa data ha segnato l’inizio della seconda guerra di mafia, dopo la prima che si era combattuta negli anni ‘60.
Lo scontro tra i clan dei Corleonesi e quelli palermitani, secondo le ricostruzioni sin qui fatte, era motivato dal desiderio di gestire in prima persona i proventi nel traffico di droga diventato, a metà degli anni ‘70, la principale attività criminale di Cosa nostra. Un tesoro che in quel momento, era nelle mani di Bontade, Inzerillo e Badalamenti, il vertice della cupola. Ma questa ricostruzione giornalistica basta a spiegare anche la catena impressionante di delitti politici che ha come obiettivo esponenti della magistratura, della politica e della società civile palermitana e siciliana?

Sono delitti che improvvisamente stravolgono la filosofia di cent’anni di mafia, e cioè la strategia di restare immersa nella società e di evitare uno scontro aperto con le istituzioni che dal canto loro avevano un atteggiamento che, banalmente, nell’opinione pubblica era sintetizzato con la frase “finché si ammazzano fra di loro….” a significare che non bisognava interessarsi delle vicende di quella che appariva un’organizzazione criminale e basta e non che avesse referenti politici ed economici tali da condizionare pesantemente la vita pubblica nell’isola e non solo. L’assenza apparente della mafia e la sua negazione da parte di una fetta importante di opinione pubblica e di partiti politici, sono state infatti, la maggior forza sulle quale ha potuto contare Cosa nostra. Se la mafia ha cambiato strategia in modo così netto e in antitesi con la sua storia, emergono ancor di più una serie di domande che ancor oggi sono rimaste senza risposta. Proviamo a riepilogarle.

1) Quarant’anni dopo quegli eventi, è possibile allargare il campo nella visione e non fermarsi com’è stato finora e considerare quella incredibile stagione di terrorismo non confinata nello spazio siciliano, ma inserita nella sequenza di avvenimenti che hanno segnato pesantemente la vita di tutt’Italia tra gli anni ‘70 e ‘80?

2) È possibile cercare di sciogliere il nodo principale della questione e cioè il mistero che rimane sui mandanti degli assassinii politici in Sicilia per i quali sono stati condannati soltanto i mafiosi, e cioè gli esecutori materiali?

3) Che cosa significa dire “non solo mafia” quando si parla degli omicidi di Piersanti Mattarella e Pio La Torre ma anche nel generale Carlo Alberto dalla Chiesa per finire con i giudici Falcone e Borsellino?
Ecco quindi che in questa visione è indispensabile far entrare il contesto politico nazionale e internazionale che fa da scenario degli anni dal 1979 al 1992 in cui sono inserite le stragi, gli omicidi che non solo hanno insanguinato Palermo e la Sicilia ma che hanno indirizzato la vita pubblica politica, economica e sociale dell’intera Italia.
Tra le fine degli anni 70 e l’inizio degli 80 la Sicilia vive uno dei periodi più drammatici e insanguinati della sua storia. Nel gennaio 1979 – se si esclude quello che in quel momento è il mistero De Mauro – viene ucciso per la prima volta a Palermo un giornalista, Mario Francese. Poi in sequenza, a luglio, un poliziotto, Boris Giuliano, e ancora, a settembre, un giudice appena tornato in magistratura dopo l’impegno politico: Cesare Terranova. Quindi il sei gennaio 1980 il presidente della Regione Piersanti Mattarella. L’anno dopo si scatena la lunga guerra di mafia che sarà una carneficina: migliaia di morti ammazzati in strada o scomparsi nel nulla con la lupara bianca, il suo culmine l’operazione Carlo Alberto e l’uccisione di Dalla Chiesa, il generale-prefetto il 3 settembre 1982.

Posto che la prima guerra di mafia aveva avuto il suo apice nel 1963 con la strage di Ciaculli (sette morti tra uomini in divisa per una Giulietta al tritolo destinata al clan La Barbera), prima di fissare l’inizio della seconda vanno fatte una premessa e una riflessione. Servono a rileggere oggi quel periodo con un’attenzione diversa che non è più quella della cronaca ma cerca di incastonare i fatti nel loro contesto storico.

Dieci anni fa, partendo dall’omicidio di Stefano Bontade, il 23 aprile 1981, (https://palermo.repubblica.it/cronaca/2011/04/23/news/trent_anni_fa_l_inizio_della_guerra_di_mafia-15291981/) possibile data che fissa l’inizio di questo conflitto, sulle pagine di Repubblica abbiamo fatto un’analisi e una ricostruzione di quel periodo in cui lo scontro tra i Corleonesi che vanno all’assalto dei clan  palermitani ha una sequenza ed un esito scontato. La cronaca di una stagione drammatica in cui Riina e Provenzano riescono nello sterminio, uccidendo prima proprio Bontade, il Principe di Villagrazia, meno di un mese dopo il suo più fido alleato Totuccio Inzerillo e poi fanno strage di tutte le famiglie a loro più vicine compresa quella di Tommaso Buscetta che tre anni dopo con la sua storica cantata, portò al maxi processo a Cosa Nostra.

Sarà la prima vera sconfitta di Cosa nostra e forse l’inizio del suo declino ma questo avverrà solo dopo il 1992 quando quella sentenza diventa definitiva.
La sequenza degli omicidi più che quella di una guerra, è una caccia all’uomo che non lascia scampo agli avversari di Riina e Provenzano: possiamo farla iniziare con l’assassino in canonica di fra Giacinto Castronovo nell’agosto 1980 a Santa Maria di Gesù, oppure con la sparizione del boss Piddu Panno storico alleato di Inzerillo e Bontade nel marzo 1981. È dunque chiaro che tra la fine del 1979 e l’inizio del 1980 qualcosa nella mafia sta succedendo. I cronisti scrivono che le cosche si dividono tra vincenti e perdenti: ma cosa facciano le due parti, nessuno lo sa con precisione. Si fanno ipotesi, si ha qualche difficoltà a classificare le vittime di uno schieramento oppure si pensa a tradimenti o “tragediamenti” come si dice nel gergo mafioso.
Organizzazione militare, potenza di fuoco con la comparsa del Kalashnikov, capacità di ribaltare le alleanze sono tutti elementi che non bastano a giustificare un esito così sbilanciato. Dopo ogni delitto ci chiedevamo: quando arriva la risposta? E invece continuavano a cadere solo da una parte, senza scampo, come Totuccio Inzerillo che dopo l’agguato a Bontade s’era comprato un’auto blindata ma venne lo stesso ucciso prima di salirci a bordo: un delitto compiuto, l’11 maggio 1981, due giorni prima dell’attentato a Papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. In quell’Italia di morti ammazzati tra criminalità organizzata e terrorismo, le date molto vicine segnate in rosso sul calendario sono tante. A mettere insieme tutte queste coincidenze, c’è da pensare che il filo della storia potrebbe essere guidato da qualcuno che ha una visione complessiva di quello che, non solo accade, ma che “deve” accadere. Oggi che sono trascorsi ormai quattro decenni, resta il mistero sui mandanti degli omicidi politici in Sicilia, per i quali sono stati condannati i boss della cupola.
E vale la pena notare che stessa sorte è avvenuta per quasi tutti i processi che riguardano le stragi del terrorismo nero in Italia. Ma forse questo può essere il metodo nuovo a cui affidarci: non più solo la ricostruzione cronachistica di agguati e omicidi avvenuti a Palermo, ma inserirli nel contesto più vasto dell’Europa, facendoci guidare dalle date che nella visione storica del periodo, consentono di avvicinare nel tempo fatti che invece sono accaduti in luoghi lontani fisicamente ma che fanno parte dello stesso contesto. Forse ora, quaranta anni dopo, è venuto il momento per cercare di capire qualcosa di più. Allargare la visione è, dunque, fondamentale per vedere questo scontro tra clan inserito nel grande palcoscenico della storia non solo italiana ma mondiale.

Nel 1980 però il nostro scenario era Palermo, tutt’al più la Sicilia. Pochi anni prima, a metà degli anni Settanta, era avvenuto nel silenzio quasi totale uno degli eventi che hanno inciso profondamente sull’economia e sullo sviluppo sociale del mondo occidentale: la produzione dell’eroina assume una dimensione industriale con il trasferimento delle raffinerie dal sud della
Francia (Marsiglia) alla Sicilia occidentale. Come e perché sia avvenuto un evento che ha portato Cosa nostra a diventare l’organizzazione criminale più ricca del mondo, non si sa con certezza. Quello che, invece, si sa è l’interesse dei servizi segreti americani nel controllare e indirizzare il flusso della droga, dell’eroina in particolare, che avrebbe segnato la vita di alcune generazioni, spegnendo in pratica il post Sessantotto e facendo scomparire milioni di ragazzi con la tragedia delle overdosi. Proprio in quegli stessi anni va in scena la parabola di Michele Sindona, il crack delle sue banche dà la certezza che il riciclaggio del denaro è la pista che si deve seguire per capire le nuove dinamiche criminali.
L’omicidio di Umberto Ambrosoli, il liquidatore dellaVBanca di Sindona avviene l’11 luglio 1979, a Milano, otto giorni prima dell’uccisione di Boris Giuliano a Palermo: al Nord agisce un killer legato al clan di Tano Badalamenti ed arrivato dagli Stati Uniti. Al cinema Lux, il 19 luglio, sono i corleonesi che si affacciano sulla scena palermitana poche settimane dopo il primo sequestro di mezzo milione di dollari frutto del narcotraffico effettuato proprio grazie alle indagini di Boris Giuliano. Un passo indietro di poco più di un anno per ricordare che a Cinisi nel regno di Tano Badalamenti, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 viene sequestrato e ucciso Peppino Impastato, attivista di Democrazia proletaria e giornalista impegnato a denunciare la mafia e i suoi affari. Quello stesso 9 maggio a Roma viene scoperto il cadavere di Aldo Moro, il presidente della Democrazia cristiana sequestrato il 16 marzo in via Fani con un’azione di terrorismo-militare in cui vengono massacrati i cinque uomini della sua scorta. E Peppino Impastato sulle prime viene etichettato come un terrorista che stava mettendo una bomba sulla linea ferrata Palermo-Trapani: depistaggi evidenti da parte dei carabinieri saranno svelati nelle indagini che porteranno Giovanni Falcone sulla strada giusta, quella di Tano Badalamenti, il Tano seduto bersagliato da Impastato.

Per Ambrosoli, invece, era arrivato l’epitaffio di Giulio Andreotti che, a chi gli chiedeva dell’uccisione dell’eroe borghese, rispondeva che forse, “se l’era andata a cercare”. Per il Divo era ancora lontana l’accusa che lo porterà prima sul banco degli imputati e poi alla prescrizione per i contatti con esponenti di Cosa nostra e in primo luogo con i cugini Salvo per decenni padroni delle Esattorie in Sicilia. In questo clima politico e sociale tra la Sicilia, la mafia, il terrorismo, le banche piene di soldi sporchi si sviluppa un circuito perverso e sanguinoso, sia tra i clan che di attacco allo Stato o almeno contro quella parte che ha iniziato a combattere, forse per la prima volta, le cosche.
Torniamo dunque al diluvio di denaro piovuto su Cosa nostra con il passaggio delle raffinerie di eroina in Sicilia. Qualcuno pensa che questa sia stata la ragione dello scontro tra palermitani e corleonesi: la divisione dei proventi della droga, il tesoro di alcune famiglie, come quella di Bontade che hanno accumulato troppo. Ma questo movente che può giustificare la guerra interna,
può spiegare anche la strategia del terrore che investe in una escalation mai vista in altre parti del mondo occidentale, i rappresentati dello stato e della politica (Mattarella, La Torre) delle istituzioni da Dalla Chiesa a Rocco Chinnici da Cassarà sino all’omicidio Lima e alle stragi Falcone e Borsellino?

Ecco la necessità di allargare lo sguardo per cercare di capire cosa vuol dire che nei delitti di quel lungo periodo di terrore c’è qualcosa oltre la mafia. Il trasferimento delle raffinerie e dell’Eldorado che diventa la Sicilia occidentale, dove il flusso di droga verso gli Stati Uniti, come è stato provato da tante inchieste a partire dalla Pizza connection, porta migliaia di miliardi di lire che devono essere investiti nella economia legale e possono influire e non poco anche sulla vita politica e sociale del nostro paese. Cosa ha fatto la mafia dopo l’esposizione mediatica dovuta dal delitto Notarbartolo alla fine dell’800? È praticamente scomparsa, si è inabissata nella società, non fa politica in prima persona ma utilizza i politici, li condiziona per trarne vantaggio con le proprie attività: soprattutto nelle campagne, nel controllo dei poderi e poi con l’urbanizzazione e quindi nell’edilizia, nella costruzione delle città che si stanno sviluppando con l’arrivo di migliaia di contadini che diventano cittadini. In una parola con la speculazione edilizia: il cemento diventa la
nuova frontiera come dimostrano gli anni del sacco di Palermo e poi gli enormi interessi nel settore del movimento terra e delle grandi opere.

La valanga di denaro della droga cambia questi scenari e anche il tenore di vita di molti palermitani che accettano la strage di innocenti dell’eroina in cambia di un flusso incontrollato di ricchezza (come racconta Piero Melati nella Notte della civetta). Ma soprattutto in quegli stessi anni sta cambiando il panorama politico: in Italia si sta marciando verso un’intesa tra due forze che

sino ad ora sono state molto lontane la Dc di Moro e il PCI di Berlinguer. In Sicilia è Piersanti Mattarella che vede nella strategia del suo riferimento nazionale, la possibilità di sperimentare a Palazzo dei Normanni questo tipo di apertura. Ma proprio Mattarella è una delle prime vittime di quella lunga serie di omicidi politico-mafiosi, il sei gennaio del 1980.

Ma cosa accade dentro Cosa nostra in quegli stessi anni? Buscetta che ha svelato l’esistenza della Cupola, racconta anche che a un certo punto sembra che ci fossero due anime. Il boss dei due mondi non dà interpretazioni politiche, quindi possiamo solo fare supposizioni. In questo scenario
possiamo ipotizzare che una fosse per la prosecuzione del tradizionale rapporto contiguo alla politica (Bontade, il cui padre resta famoso per aver preso a schiaffi un deputato dell’Ars) e un’altra invece favorevole all’intervento diretto per condizionare anche drammaticamente le scelte ed opporsi persino fisicamente all’ingresso dei comunisti nella stanza dei bottoni (Riina e Provenzano) ma che forse scelta più che interna al clan fosse condizionata da interventi di intelligence con operazioni di infiltrazione o di “allevamento” nei servizi

È possibile ipotizzare che questo rapporto sia nato e che si sia poi consolidato nell’operazione di trasferimento delle raffinerie di droga nelle mani di Cosa nostra: il denaro della droga in cambio di interventi mirati sullo scenario politico che se al nord è condizionato dal terrorismo politico, al Sud potrebbe esserlo da quello mafioso. In pratica l’altra faccia della strategia della tensione. Postilla: certezza di immunità (impunità) giudiziaria che di fatto è stata garantita sempre alle cosche uscite quasi indenni dai processi (Catanzaro, Bari) mentre lo stesso è avvenuto in gran parte anche per i terroristi neofascisti tra latitanze, assoluzioni o inchieste infinite (piazza Fontana). Questo, dunque, potrebbe essere il nuovo scenario quando si parla di non solo mafia nella serie di delitti e stragi che arrivano sino a Capaci e via D’Amelio? Cosa c’è che fa da supporto, che può sostenere in modo concreto questa ricostruzione? Domande a cui è difficile dare risposte precise o quantomeno derivanti da sentenze, da verità giudiziarie acquisite. Se partiamo dalla fine, cioè dalla strage Borsellino le presenze di uomini dei servizi segreti sono documentali.
Se partiamo dall’inizio, la ricostruzione di alcuni delitti, in particolare Mattarella e La Torre contengono elementi che portano al terrorismo politico e alla possibile partecipazione di soggetti estranei alla mafia e anche stranieri.

In conclusione la mafia (Cosa nostra) ha avuto per anni un potere rilevante nelle vita politica cercando di condizionare le scelte ma senza andare ad uno scontro diretto con le istituzioni (due eccezioni in quasi 100 anni l’uccisione del poliziotto Usa Joe Petrosino e del procuratore di Palermo Pietro Scaglione). Poi qualcosa è cambiato con la guerra fredda, con il pericolo dell’URSS che produce una forte strategia anticomunista al cuiu centro sta la difesa a tutti costi dell’Italia nel recinto atlantico, vedi Gladio e con la risposta Usa che ha visto nella installazione dei missili Cruise a Comiso come un passaggio fondamentale per ribadire la sua influenza sull’Italia.
In questa situazione internazionale mentre il quadro politico nazionale va verso l’evoluzione del centro sinistra con l’avvicinamento al PCI di Berlinguer da parte di Moro, si scatenano il terrorismo politico al nord e quello mafioso al Sud. Al nord i pericoli sono la gestione del post Sessantotto e la deriva proletaria nelle grandi città operaie, al Sud i cattolici sociali che con Mattarella sono pronti alla nuova alleanza e i comunisti come Pio La Torre che, alla tradizione della lotta alla mafia, adesso si oppongono anche ai missili Usa a Comiso. Nella società civile, infatti, si affievolisce la capacità di condizionare l’opinione pubblica in chiave anticomunista: una prova sono le decine di pubblicazioni (settimanali, mensili, quotidiani), la maggior parte di destra che fanno di Palermo una delle città più vivaci da questo punto di vista sino all’inizio degli anni Settanta. Poi quando l’evoluzione della politica nazionale ha imboccato una strada che la diga di carta non può più contenere, quasi tutti questi giornali chiudono a cavallo degli anni ‘70 e ‘80.

La resistenza al cambiamento da intellettuale e ideologico si trasforma in pratica del terrore? Non è un passaggio semplice da spiegare e soprattutto da provare. La strategia è governata da quei servizi segreti che cercando di condizionare la vita politica di alcuni stati (dal Cile alla Colombia, per non parlare del Medio Oriente) strumentalizzano gruppi politici o si accordano con quelli criminali per attuare le loro dinamiche e raggiungere i loro obiettivi anche attraverso omicidi eccellenti o clamorose stragi? Impossibile rispondere con certezza. Ma sarebbe la spiegazione del perché la stagione del piombo politico e mafioso resta avvolta, in parte o in toto, nel mistero, lasciando senza verità alcune delle pagine più oscure del nostro dopoguerra.

Se il segreto di Stato continua a coprire la verità su molti di quegli avvenimenti che hanno indirizzato la storia del nostro Paese e della Sicilia, a cominciare dalla strage di Portella della Ginestra, è dunque possibile credere che si tratta di responsabilità inserite in uno scenario che non è compreso tra Ciaculli e Corleone o tra Santa Maria di Gesù e Cinisi ma che coinvolge da Roma a Washington, passando da Mosca, scelte politiche e interessi economici mondiali.