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Don Peppino Diana è morto martire per l’amore del suo popolo. Lui è il martire dell’amore. Don Giuseppe Diana, il prete ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994 per aver scritto un documento contro la camorra: “Per amore del mio popolo”.

Don Peppino Diana è una di quelle figure che rappresentano il riscatto del sud. Ha saputo rompere una tradizione di silenzio della chiesa.

Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994, poco dopo le 7,20 del mattino, nel giorno del suo onomastico. Fu ucciso nella sua chiesa, la parrocchia di San Nicola di Bari. Gli spararono contro quattro colpi di pistola mentre si preparava per celebrare la messa.

Aveva 36 anni. arriva prima del solito nella sua parrocchia. E’ anche il giorno del suo onomastico. Dopo la messa delle 7.30 ha dato appuntamento in un bar a diversi amici per un dolce e un caffè. Sulla porta il sagrestano lo saluta. In chiesa ci sono già alcune donne e le suore. C’è anche Augusto di Meo ad aspettarlo, il suo amico fotografo.
Vuole essere tra i primi a fargli gli auguri per il suo onomastico. Ma ad aspettare don Peppe c’è anche un’altra persona. E’ sul piazzale della chiesa, in auto. E’ un uomo con meno di 40 anni con un giubbotto nero e capelli lunghi.
Appena vede il prete entrare, scende. Si guarda intorno, mette la pistola nella cintura e si avvia a passo deciso verso la sagrestia. Don Peppe, intanto, mentre comincia ad indossare i paramenti sacri, sta ancora concordando con il suo amico fotografo il da farsi per vedersi dopo la messa.

Ed ecco che entra l’uomo col giubbotto. “Chi è don Peppe?”, chiede lo sconosciuto. Don Diana si gira e risponde: “Sono io”.
L’uomo tira fuori la pistola dalla cintola e spara quattro colpi, al volto e al petto. Per don Peppe, che cade in una pozza di sangue, non c’è niente da fare. Muore a 36 anni il
prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi.  Il killer si dilegua.

Ad aspettarlo ci sono dei complici con l’auto del motore acceso. Augusto, il fotografo
amico di don Diana invece, corre dai carabinieri a denunciare l’accaduto. Sarà lui a riconoscere in Giuseppe Quadrano il killer di don Diana.
Per l’uccisione di don Giuseppe Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori dell’omicidio, mentre ha riconosciuto come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di Giustizia.  Decisiva la testimonianza di
Augusto Di Meo. 

Quanto ai mandanti, la giustizia ha accertato che la morte di don Diana venne ordinata dalla Spagna, dal boss Nunzio De Falco detto “’o Lupo”, con l’intento di colpire il clan
Schiavone – Bidognetti.  Ma prima della sentenza definitiva, ci sono stati vari tentativi di infangare la memoria di don Giuseppe Diana.
Tentativi che iniziarono sin dalle prime ore dopo la sua morte, quando venne fatta circolare la voce che era stato ucciso per vicende di donne. A queste voci seguirono vere e proprie campagne denigratorie con articoli apparsi sul “Corriere di Caserta” che avevano l’obiettivo di delegittimare non solo la figura di don Diana, ma soprattutto il suo forte messaggio lanciato dagli altari delle chiese della Foranìa di Casal di Principe, a Natale del 1991, con il documento “Per amore del mio popolo”. Un messaggio dirompente contro la cultura camorristica e criminale, nato nel cuore di quella che lo stesso don Diana definiva la “dittatura armata” della camorra.

Don Peppino Diana è morto martire per l’amore del suo popolo. Lui è il martire dell’amore. Don Giuseppe Diana, il prete ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994 per aver scritto un documento contro la camorra: “Per amore del mio popolo”.

Don Peppino era veramente un prete valoroso, perché sapeva amare la gente. Si, perché il prete vero non è quello che vediamo in chiesa a

Don Peppino Diana è una di quelle figure che rappresentano il riscatto del sud. Ha saputo
rompere una tradizione di silenzio della chiesa. In questo ha dimostrato coraggio, visione, volontà. Lo dimostra il fatto che dopo tanti anni è considerato un punto di riferimento.
Contro di lui prima una campagna diffamatoria, poi lasciato solo in una condizione che sembrava di disperazione umana. Però oggi il suo sogno, è la nostra frontiera. dire la messa, in mezzo a mille liturgie e a mille processioni.

Il prete genuino è colui che, come Cristo, cammina su tutte le strade del mondo per guarire ogni genere di infermità e di malattie. Don Diana, anche come credente, era un autentico prete, genuino, lanciato, appassionato.

Don Peppino Diana è una di quelle figure che rappresentano il riscatto del sud. Ha saputo
rompere una tradizione di silenzio della chiesa. In questo ha dimostrato coraggio, visione, volontà. Lo dimostra il fatto che dopo tanti anni è considerato un punto di riferimento.
Contro di lui prima una campagna diffamatoria, poi lasciato solo in una condizione che sembrava di disperazione umana. Però oggi il suo sogno, è la nostra frontiera.

La camorra è una forma di terrorismo che sradicheremo. La cultura di morte non prevarrà sul desiderio di una società più giusta e più ricca di opportunità. Questo giorno di
memoria è un giorno di impegno e di responsabilità. Le istituzioni devono rispondere alla domanda di giustizia che sale dalle numerose vittime innocenti, dalle famiglie, dalle persone a cui il crimine organizzato continua a rubare il futuro. Ma tutta la società civile, a partire da ciascuno di noi, è chiamata a fare la propria parte, seguendo la strada
indicata da persone come don Giuseppe.

Diversamente dagli altri anni, nessuna marcia o manifestazione di piazza, per ricordare il sacerdote ucciso dalla  camorra, ma una riflessione collettiva sullo stato della lotta alla camorra.  Una chiamata a raccolta del mondo dell’antimafia per tracciare un percorso  di impegno civile per i prossimi dieci anni.
La camorra come l’abbiamo conosciuta negli anni passati, ormai non esiste più ma questo non significa che la camorra sia scomparsa. Non sappiano sotto quali forme emergerà
l’evoluzione del fenomeno camorristico.