Abbiamo dialogato con il Prefetto Luigi Savina, vice direttore generale della Pubblica Sicurezza, Presidente del Premio Nazionale “Paolo Borsellino”.
A.B.: Che significato ha per lei essere il Presidente del Premio Nazionale “ Paolo Borsellino”?
L.S.: Il Premio Nazionale “Paolo Borsellino” per me è un grandissimo onore, ricorda una persona eccezionale che sapendo che probabilmente sarebbe stato ucciso ha continuato a fare fino all’ultimo il suo lavoro. Il Premio riporta alla memoria anche cinque meravigliosi ragazzi della scorta, 4 ragazzi e una ragazza Emanuela Loi, che hanno fatto il loro dovere.
Il 23 maggio 1992 c’era stata la strage in cui avevano perso la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta. A distanza di nemmeno 60 giorni, quando c’era pericolo, il magistrato Borsellino ha fatto il suo dovere fornendo l’esempio di un servitore dello Stato, ha “tenuto duro” pur sapendo che poteva morire. I ragazzi della scorta non si sono fatti sostituire, potevano chiederlo, in quegli anni era facile farsi sostituire nessuno poteva imporre qualcosa se non ci fosse stato il desiderio di continuare a fare il proprio dovere.
Essere, quindi, il presidente di questo Premio è una cosa che mi inorgoglisce, il testimonial l’ho ricevuto da Giovanni Legnini vicepresidente Consiglio Superiore Magistratura. Preciso anche questo: Paolo Borsellino racconta che quando andò con Ninni Cassarà al funerale di Montana, agosto 1985, Cassarà gli disse “Ci dobbiamo convincere che noi siamo cadaveri che camminano”. So che è una frase che colpisce, ma proprio dopo pochi giorni Cassarà fu ucciso. Borsellino dopo la morte di Giovanni Falcone sapeva ciò che gli poteva succedere, c’era una grande probabilità di ciò che poteva accadere. Sono i nostri esempi, che tutti dovremmo ricordare, hanno fatto il loro dovere fino in fondo e ciò ha consentito a noi di avere un paese migliore. Il 30 ottobre 2020 a Pescara giornata conclusiva del Premio “Paolo Borsellino” Il 30 ottobre, qualche giorno fa, era prevista la giornata conclusiva del Premio con la consegna di una semplice targa di altissimo valore simbolico a uomini delle istituzioni: alcuni magistrati, prefetto della Repubblica, questore oggi capo della Direzione investigativa antimafia, che hanno fatto il loro servizio al meglio contro le organizzazioni mafiose.
Ci sono anche un vescovo impegnato in Calabria, un giornalista editorialista del “Corriere della sera” autore di libri sul terrorismo che ha sempre scritto articoli sulla legalità, ma anche una serie di docenti, il premio è una giornata particolare per ricordare queste persone. L’anno scorso non c’era il Covid, erano presenti 800 ragazzi delle scuole abruzzesi, quest’anno avevamo annunciato che l’avremmo fatto ma ci sono state delle nuove restrizioni. Sotto il profilo formale, senza pubblico, si poteva fare la cerimonia e tramite il ministero dell’istruzione sarebbero state collegate due scuole italiane per ogni regione per far assistere virtualmente i ragazzi. Avremmo potuto formalmente farlo, però è un momento in cui l’Italia soffre e quindi abbiamo preferito rinviare a quando ci sarà la riapertura. Il bilancio è di centinaia di incontri anche nel mese di aprile , durante il lockdown, i ragazzi che lavorano con noi hanno realizzato uno strumento che si chiama “Officina Legalità”, ci sono le interviste che hanno raccolto in diretta, la mia e soprattutto quella del Procuratore Antimafia De Raho, ciascuna scuola può vederle.
Sono esempi di legalità soprattutto in questo anno scolastico in cui inizia l’insegnamento di Educazione civica, che sia che da ragazzi ma anche da adulti dobbiamo fare, imparare e poi praticare per essere cittadini migliori.
A.B.: Che ricordi ha di Falcone e Borsellino
L.S.: Ho avuto il privilegio – perché lo ritengo davvero un privilegio – nel 1989, la prima volta in cui presi servizio a Palermo nella sezione omicidi di conoscere il dottor Giovanni Falcone che era divenuto Procuratore aggiunto della Repubblica. L’ho visto per circa due anni quando lasciava l’ufficio da giudice istruttore e poi l’ho visto da Procuratore aggiunto. Ho avuto occasione di incontrarlo qualche volta, una persona di una lucidità, di una intelligenza, di una capacità di analisi eccezionali.
Non ho avuto il piacere di conoscere Paolo Borsellino, era già procuratore a Marsala, quando rientra su Palermo io ero in servizio in altre sedi. Purtroppo sono stato aggregato a Palermo subito dopo la strage.
Sono persone eccezionali, cito solo questo come esempio, la loro intuizione di fare dei magistrati specializzati sulla mafia per comprendere la complessità di quel fenomeno, poi l’intelligenza di prevedere alcuni strumenti come la procura nazionale antimafia, voluta da Giovanni Falcone e perseguita anche Paolo Borsellino. Un sistema di lettura univoca di “cosa nostra” in Italia e anche all’estero. Quell’esempio e quella lettura unitaria pensate, nel 2015, momento in cui l’Europa è sottoposta a una serie di attentati si intuisce che è importante. Viene creata la Procura antimafia insieme con la Procura nazionale antiterrorismo, il Procuratore nazionale antimafia diventa anche antiterrorismo. Individuare uno strumento capace di fare prevenzione e repressione. L’intuizione è di Giovanni Falcone.
A.B.: Lei ha detto “Gli uomini passano, le idee di legalità restano”…
L.S.: La frase è stata detta da magistrati come Falcone e Borsellino io l’ho solo ripetuta. Di noi nella vita resteranno le azioni buone, anche facendo il lavoro più umile, resterà se siamo riusciti a cambiare un piccolo pezzo di mondo. Se abbiamo fatto questo la nostra vita ha avuto significato. Nel campo della legalità Falcone e Borsellino avevano ereditato da Chinnici e Caponnetto. Il rispetto delle regole è quello che ci fa sentire cittadini di questo paese e cittadini del mondo. C’è una frase di Borsellino per lei molto importante: “La lotta alla mafia non è soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolge tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa fiutare il puzzo del compromesso morale e dell’indifferenza” Frase a me molto cara , pronunciata da Paolo Borsellino subito dopo la morte di Giovanni Falcone in un incontro con gli studenti, si rivolge alle giovani generazioni come persona che ha fatto il proprio dovere e che pensa al futuro . La lotta alla mafia, il vivere in maniera corretta, rivolgersi ai giovani che hanno sentimenti di assoluta purezza, sentimenti di chi non vuole compromessi e vuole fare la propria strada. Borsellino dice di rifiutare il puzzo del compromesso e scegliere il fresco profumo della libertà che viene dalle proprie capacità e dal servire il paese.
A.B.: Cosa conserva nel suo cuore?
L.S.: Nel mio cuore conservo il ricordo soprattutto dello spirito di squadra. Ogni attività svolta come dirigente di squadra mobile a Milano, Palermo, Napoli, Albania o in altre sedi mi fa pensare che se sono riuscito a fare il mio dovere lo devo soprattutto ai miei collaboratori, a persone che hanno lavorato con me,” fianco a fianco“ e “spalla a spalla”, con cui abbiamo condiviso realmente ore e ore forse più del tempo lasciato alla famiglia. Palermo ha avuto un significato particolare, molte volte si era detto che ci potessero essere infiltrazioni mafiose dentro la squadra mobile, che era il cuore pulsante della risposta a cosa nostra. In alcuni arresti importanti duecento uomini si muovevano all’unisono, i familiari capivano perché facevano tardi tutte le sere. Il latitante venne preso (non importa sapere il suo nome), nei giorni precedenti nonostante il grosso lavoro, il fermento, da quell’ufficio non era uscita una parola, e se lo avevano detto alle proprie mogli, ai loro familiari nessuno aveva detto niente. Grandissimo valore: una squadra di duecento persone che si muovono tutti insieme dal più anziano al più giovane per fare il proprio dovere nel rispetto rigoroso del riserbo.
Anna Brandiferro su www.certastampa.it